Iron III lamiera cucita, cemento colorato e acrilico su tela cm 60x80
Geniale quanto originale modo di tradurre dei materiali impensabili in ottima arte ma toccante e profonda ritengo l'interpretazione lirica del concepturus artistico dedicato al rapporto genitoriale per il quale quelle cuciture e rappezzi di probabili incomprensioni e successivi strappi fanno davvero pensare...
Bravissimo.
Mario Salvo (critico d'arte)
"Nero Bianco Rosso" 2016
Merlino Bottega d'Arte Firenze
Untitled XVII, cm 100x120 - Iron IV,cm 80x100 - Iron II, cm 100x120
Giuseppe Castelli nasce il 31 agosto 1966 nella campagna Bibbonese, vicino a Livorno. Comincia a dipingere nel 1991, scegliendo come soggetti delle sue originali tele (che risentono dell’influenza dell’amatissimo Van Gogh) proprio gli elementi del mondo naturale a lui familiari, e quindi gli alberi, i fiori, gli scorci di campagna e di mare. Più tardi, nel 2005, l’artista scopre la sua passione per la grafica e la scultura, spostando la sua attenzione dalle meraviglie della natura all’uomo e alla sua interiorità. Volgendo lo sguardo dal mondo esterno al suo intimo, Giuseppe comincia ad intraprendere un viaggio alla scoperta dell’animo umano, cosi tormentato e allo stesso tempo gioioso del suo semplice esistere, e finisce per accostare ad ogni opera una poesia scritta da lui stesso, creando così un eccezionale connubio tra pensiero ed immagine, tra suono e materia che certo non mancherà di andare a risvegliare ciò che di più puro e reale si cela negli animi più sensibili di coloro che assistono allo spettacolo della sua arte. Interrogandosi, l’artista invita l’altrospettatore ad interrogarsi a sua volta e a smascherarsi nell’intento di ritrovare la propria verità, la propria soggettività desiderante al di là della seduzione e delle apparenze immaginarie di cui è impregnata l’epoca moderna. Utilizzando la preziosa risorsa del ricordo delle proprie radici, l’artista infonde in ogni opera il suo inesauribile anelito verso la libertà e l’indipendenza dell’essere umano dalle catene dell’inconsapevolezza. Il suo percorso di sperimentazione lo conduce a prediligere la materia piuttosto che la pittura. Giuseppe acquisisce un controllo assoluto della forma e trascrive le sue sensazioni attraverso un automatismo puro, slegato da qualsiasi intento descrittivo. Le emozioni diventano direttamente materia impastandosi con i colori torbidi che sprigionano una forza devastante.
A cura di Giovanna Cardini, Valentina Visconti
Iron VII lamiera cucita, cemento colorato e acrilico su tela cm 100x150
L'arte di Giuseppe Castelli è un percorso che parte dallo spazio definito dalla geometria e dalla linea, che regolano e rassicurano, e giunge all'abolizione di tale limite attraverso sensazioni (e non immagini, o rappresentazioni del reale fisico) che regalano quella libertà tanto stimolante, sia per l'artista che per lo spettatore.
Castelli, classe '66, ha iniziato con l'analisi della natura, ma sostanzialmente del proprio “Io”, riproponendola in versione scatolare, ovvero ingabbiando gli elementi liberi, dinamici e fluidi, quali acqua, nuvole, stelle e fronde, in parallelepipedi chiusi e definiti da una marcata linea nera a da nette campiture di colore, quasi a volerli controllare.
Da questa analisi, il suo lavoro è approdato alla ricerca del proprio sé attraverso la scomposizione di quelle scatole, delle linee e dei colori; i parallelepipedi hanno cominciato a liberarsi dalla disposizione statica, muovendosi nello spazio pittorico per essere poi smantellati, e le linee si sono fuse con il colore che diventa materico, annullando così la sua campitura liscia e monotonale. Infine, anche le forme si sono sciolte, diventando semplicemente riflessioni sotto forma di squarci, fori o accenni che materializzano pensieri e desideri, grazie anche all'utilizzo di diversi materiali applicati alle tele che danno forma e spessore alle emozioni.
Il divenire dell'artista Castelli coincide così con il divenire della sua arte, dinamica e sempre in evoluzione, nonchè pervasa da percezioni contrastanti, quasi esplosive, palesate con lavori irrequieti che rivelano con forza il vissuto e gli stati d'animo dell'uomo.
"Il mare sul retro" 2011
Mercurio Arte Contemporanea Viareggio
Galleria Europa, Lido di Camaiore Viareggio
Dal momento che si tratta di un artista ancora giovane – per quanto dotato ormai di una ricca produzione alle spalle – è evidentemente presto, e sarebbe comunque imprudente, attribuire a Giuseppe Castelli “modi”, “maniere”, “periodi”, col rischio d’inchiodarlo nel recinto di una qualche strategia qualificatrice e definitrice o di riferirlo a una “scuola”.
Certo, è un artista inquieto, che studia, che osserva, che indaga: che non si accontenta di “far vedere” o di “raccontare”, ma che vuole “dire”. In altri termini, un artista che si impegna per sviluppare un proprio linguaggio espressivo. È partito d’impeto, affidandosi alla spontaneità. Quel che c’era in principio erano l’occhio, i segni e i colori, magari l’illusione naturalistico-verista e l’attrazione per la pittura naïve, che a dir la verità – a parte alcuni grandi maestri – pochissimo ha in sé di totalmente spontaneo. Ben presto, hanno prevalso altre istanze: sino a una forte attrazione per un simbolismo tentato dall’astrattismo, magari fino ai limiti della pictura-poësis fatta di segno geometrizzante, con qualche eco dell’ art nouveau e di parole scritte, un genere che ha una vita e una preistoria lunghissime (fino dal medioevo) e che il futurismo ha saputo raccogliere, ridefinire e reinterpretare.
E sono senza dubbio ispirati a suggestioni e modelli e di tipo futurista e cubista, seppur rivissuti alla luce di un geometrismo onirico e postmoderno, gli acrilici su tela riprodotti su questo catalogo. Sono opere che parlano il linguaggio d’una percezione visuale tradotta in termini di viaggio spazio-temporale. Come nel dipinto Il giardino sul retro dove alberi cubizzati – “strutture vegetazionali” si sarebbe tentati di definirli, come dicono gli architetti – si elevano, trasformandosi in nubi sideree anch’esse di forma cubica, verso un firmamento di stelle dorate e quadrate che ricorda l'orizzonte notturno d’una megalopoli dalle finestre che si vanno spegnendo (o buie che si vanno accendendo?). O come ne Il mare sul retro III e IV, dove le familiari onde, gli ovvii ombrelloni, le solite sedie, il cielo tirrenico al momento o quello notturno, appaiono minacciati dall’invasione acquea o aerea di nuvole – o, forse, improbabili astronavi – che insistentemente ricordano l’implacabile geometrismo delle forme viste attraverso i microscopi nucleari, quelli che rivelano la struttura profonda delle cose.
Ed eccoci al dunque: un timido insistente, quasi ossessivo “rifugiarsi nel retro delle cose” che si trasforma in un avventuroso viaggio alla ricerca del loro dentro, del loro significato intimo. Il “dietro” – la Rü̈ckfigur, come lo definirebbero i critici dotti con una parola amata dal romanticismo tedesco – come alibi, o meglio forse come occasione e strategia, per accedere all’intimo. Aggiramento come psicoanalitico descensus ad inferos: ch’è poi ricerca del Centro interiore. Un linguaggio arduo, impegnativo, difficile: ma rigoroso, che non si accontenta. Cercare non vuol dire necessariamente trovare, e non è per nulla detto che chi cerca trovi. Ma Giuseppe Castelli ha capito che chi non cerca non troverà mai.
Un’avventura espressiva, la sua, che vale la pena essere continuata.
Firenze, novembre 2011
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